PER LA PRIMA VOLTA IN TEATRO
LE VOCI DELLA SERA

Foto di scena di Antonio Viscido

Elsa nel corpo di Silvia esce dalla scena come un’ombra leggera, solitaria e malinconica, inconsapevole della potenza liberatoria che porta in grembo la sua scelta.
《 Il suo dire “no, grazie!” non è tanto rivolto a Tommasino quanto piuttosto ad una società che ci ha preteso ancorati alla cornice delle convenzioni e omologati ad un modello precostituito piuttosto che essere coerenti con la nostra specificità.
Rifiutare qualcosa a noi destinato, se riteniamo che lì non risieda la nostra e l’altrui felicità, è un atto d’amore che ogni essere umano deve a se stesso. E’ questo il grido muto di Elsa vestito soltanto del dolore della delusione ma non del rimpianto.
C’è questo nella pièce di Frasson, c’è Silvia intrisa fino al collo nelle vite degli altri, dentro la sua e la nostra esistenza fatta di mancanze e silenzi, spiragli di luce, abbandoni e dolore.
Impossibile non farsi travolgere, impossibile da dimenticare perché ognuno di quei personaggi si fissa così addosso da farci avvicinare a delle parti di noi e fungendo da specchio ci farà vedere che Elsa, Tommasino, la mamma, la zia Ottavia siamo noi nelle varie epoche della nostra piccola vita e che ci piaccia o no ne dobbiamo prendere atto.
Le luci si abbassano, il sipario si chiude.
L’universo interiore di chi è stato lì ha fatto ancora un considerevole passo in avanti.》


Fragili maschere di cartapesta alla ricerca disperata di una coerenza e di un senso che sempre sfugge
《La narrazione in prima persona della Ginzburg trova una perfetta incarnazione in Frasson e nella sua scelta di rappresentare il testo da “solista”, una solo che riempie la scena con il monologo fluviale della protagonista, accompagnato da una mimica precisa e avvincente.
Portare in scena le emozioni e condividerle con il pubblico è l’arma più efficace del teatro di Silvia Frasson, maestra nell’arte di suscitare empatia verso i personaggi cui dà vita; ed è così che arriviamo a provare una sorta di affettuosità nei confronti della minutezza umana e rammarico per una storia d’amore a cui, pur intuendone la conclusione infelice, finiamo per credere con la stessa ingenuità di chi ne è preda》


LE VOCI DELLA SERA: UN DELICATO QUADRO POPOLARE
《 la vita vera, senza eroi, senza tragedie, senza retrogusti simbolici, senza analisi psicologiche esplicitate, per lasciare allo spettatore, come al lettore, ogni commento e riflessione, per permettergli di vedere la propria vita allo specchio, nelle vicende de LE VOCI DELLA SERA, attraverso quella splendida sobrietà che accomuna l’autrice e l’interprete. Ne esce uno spettacolo divertente ed emozionante》
STRAORDINARIA PROVA D'ATTRICE AUTRICE E REGISTA DI SILVIA FRASSON
《𝘜𝘯𝘰 𝘴𝘱𝘦𝘵𝘵𝘢𝘤𝘰𝘭𝘰 𝘥𝘪 𝘶𝘯𝘢 𝘥𝘰𝘭𝘤𝘦𝘻𝘻𝘢 𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘪𝘤𝘢𝘵𝘦𝘻𝘻𝘢 𝘪𝘯𝘧𝘪𝘯𝘪𝘵𝘦, 𝘶𝘯𝘢 𝘪𝘯𝘵𝘦𝘳𝘱𝘳𝘦𝘵𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘴𝘵𝘳𝘶𝘨𝘨𝘦𝘯𝘵𝘦, 𝘵𝘦𝘯𝘦𝘳𝘢, 𝘢𝘷𝘷𝘪𝘯𝘤𝘦𝘯𝘵𝘦 》
di Natalia Ginzburg
adattamento e regia di Silvia Frasson
con Silvia Frasson
musiche originali di Guido Sodo
luci di Andreas Froeba
UNA PRODUZIONE ARCHETIPO
Natalia Ginzburg scrive sempre in prima persona.
Si mette dentro la storia, racconta, vive, mostra le cose come se le vedesse, per farle vedere al lettore. È impossibile non seguirla nel suo racconto, ti accompagna, ti coinvolge.
Qualità anche del mio raccontare, avvicinare a chi ascolta una storia, un personaggio, uno sguardo, un sentire. Così vicino che quel personaggio potrebbe essere un amico, un parente, così vicino che potremmo essere noi.
Nella narrazione de “Le voci della sera” – che arriva in teatro per la prima volta – sostituisco la mia voce alla parola scritta, e vesto i panni e lo sguardo di Elsa, protagonista a cui la Ginzburg affida il racconto di questo struggente delicato veritiero romanzo sulle relazioni, sui rapporti umani, sulle abitudini e disabitudini d’amore, sui sentimenti da cui non tutti si lasciano travolgere, sui pensieri che troppo spesso vengono sotterrati per poter continuare a vivere senza troppo domandare. Ritratto perfetto, scritto più di 60 anni fa, di un modo indeciso e impermeabile – tuttora contemporaneo – di vivere la propria vita e le relazioni con gli altri.
Il vecchio Balotta e sua moglie Cecilia. I figli del vecchio Balotta e il Purillo. La signora Ninetta Bottiglia e sua figlia Giuliana. La madre di Elsa e zia Ottavia. Elsa e il suo Tommasino.
Ecco i personaggi che animano questa storia e la storia del paese in cui vivono, a pochi chilometri dalla città, eppure così chiuso e ristretto nelle sue abitudini di pensiero, nel suo modo di concepire la vita, soprattutto la vita di una giovane donna:”Il matrimonio per una donna – dice la madre di Elsa – è il destino più bello”.
Ecco con cosa si scontra Elsa, con quelle voci degli altri, con quell’abituarsi degli altri ad un modo di vivere e di accontentarsi della vita che lei non sceglie.
Tutti i personaggi passano attraverso il corpo e l’immaginario di una sola attrice: alcuni di loro animano scene e momenti esilaranti, dialoghi pieni di ironia, strappano sorrisi e leggerezza, altri riempiono lo spazio scenico di travolgente sentimento, per cui si rimane senza fiato.
Alla scrittura della Ginzburg mi avvicina lo sguardo per le cose e l’essere umano, scarno da fronzoli, per raccontarne l’essenza, la fatica, a volte lo strazio, così reale e concreto che caratterizza i nostri giorni, il nostro quotidiano. Leggiamo la Ginzburg e riconosciamo le cose per quello che sono. E’ dunque autrice perfetta da portare in teatro, luogo dove le persone possono sentirsi raccontate, viste, comprese. Un luogo dove ci si specchia, ci si confessa, si maledice o si benedice, ma non soli, come siamo nelle nostre case, ma in comunità.
Silvia Frasson




Foto promozionali di Valentina Fontanella|Mua Maria Grazia Bonarelli

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