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Sarà una Pasqua strana.
Allora bisogna premunirsi.
Occuparcene, con cura.

Per me le “feste ricordate” sono un’importante occasione per stare con le persone care. Di solito pranzo con mia madre, e da anni ormai, il pomeriggio con gli amici fraterni del paese d’origine.

Il menù di Pasqua – e quello di Natale e del mio compleanno – è lo stesso da anni: ragù fatto da madre, le lasagne che si preparano insieme – una specie di rito propiziatorio, una benedizione – la parmigiana di melanzane.
I miei piatti preferiti.
Per le feste ricordate i primi di cui avere cura siamo noi.
E la miglior cura è circondarsi di ciò che si ama.
Così, quest’anno…Siamo qui.

Sono qui.

Sola. Lontana dai cari.
Però sono fortunata, non mi stancherò mai di dirlo. Lontano dai cari, si.

In salute. E vivo in collina.

E per certe cose, anche in tempi non di COVID, qui siamo sempre un po’ fuori dal mondo, siamo distanziati sociali abituali, quassù.
Eppure…

“Silvia, che sei sola a Pasqua?”
“Eh.. Sì..”
” Beh, allora si mette ognuno il tavolino fuori sul terrazzino. Almeno ciao con la mano ci si fa e se si parla forte ci si sente. Sarà come se fossimo a tavola insieme
Ognuno di noi – piccolo agglomerato di case, pochi nuclei familiari, vicino il piccolo paese e intorno i campi –

ognuno ha questa zattera di salvezza che dà fuori: un terrazzino.

Sopra cielo e glicine.

È uno spazio piccolino il mio, giusto per le piante e un tavolino.
Apparecchierò lì.
Mi voglio vestire a signorina.
Usare i bicchieri da ospiti illustri.
Stappare un ottimo vino.

Oggi è arrivata la colomba pasquale fatta della pasticceria del paese.
L’ha portata a casa la pasticcera in persona.
È scesa dalla macchina con la mascherina e la colomba in una busta.

C’è stato un attimo di imbarazzo

chi prende cosa – quando – come –

per non toccarci.
Invadere quel metro, inevitabile, ma farlo correttamente.

Ho tirato fuori le ricette dei pranzi speciali. Ho scelto il menù.

Ho fatto un respiro.
Bisogna avere cura.

Ecco, questo penso mentre guardo questa colomba pasquale, che rigorosamente aprirò non prima della domenica di Pasqua.
Come i regali di Natale, quando ero bambina.
Mai aprirli prima del 25.

La cura sono anche i riti quotidiani.
Sono cura e benedizioni .

Sono forse anche preghiere, rinnovate. Fedi disperate.

Forse si può pregare anche con le mani che apparecchiano un piccolo tavolino. Col ringraziare chi ti porta a casa la colomba fatta con le sue mani. Col pensiero di un vicino di casa che non mi deve nulla, ma si dimostra essere umano. E mi fa sentire benedetta.
Cura, preghiere – ciascuno le sue – e un pezzetto di cielo.

Che il cielo, quello sempre bello rimane.

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